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"Non è facile parlare di calcio a giovani uomini che lo conoscono. C’è il rischio di non riuscire a interessarli, sanno già molto. In questi due primi anni dell’Università del calcio ho cercato così una strada diversa che finisse per interessare anche a me. Il calcio non è mai solo, nasce sempre dentro il nostro mondo. Per capirlo bene è necessario partire dall’epoca in cui nasce, qualunque sia. E’ per esempio chiaro che tra il calcio di oggi è quello di cinquantenni fa (anni sessanta-settanta) sono cambiate molte cose nella testa di chi lo gioca. Sono cambiate le idee, la tecnologia, i modi di vivere. Siamo cambiati noi.
Non si capisce bene il calcio senza una visione storica complessiva, del calcio stesso e della vita. La prima e unica cosa che chiedo ai miei allievi è di studiare due libri, uno di storia italiana del dopoguerra e uno di storia del mondo in quello stesso periodo. Se non si capisce che il calcio è un braccio del tempo, che evolve insieme al resto, non capiremo mai davvero quello che vediamo sul campo.
La mia soddisfazione all’Università del calcio è stato trovare allievi che hanno capito subito questo concetto non semplice da assorbire. Ho trovato ragazzi curiosi con i quali abbiamo parlato di tutto, trasportato il calcio dovunque, dalle grandi scoperte a cosa hanno portato al modo di giocare eventi come la guerra o il Sessantotto Ho ricevuto alla fine molti ringraziamenti, ma tanti ho dovuto farne anch’io. Perchè parlare con ragazzi intelligenti rende tutti migliori. Anche e soprattutto nel calcio."
